How will we live together? È il grande interrogativo attorno al quale ruota la Biennale di Architettura. Domanda che l’uomo si pone dall’alba dei tempi e tremendamente attuale in questo presente storico, dominato da crisi climatica e pandemia. Entrambe globali. Disequilibrio uomo- natura e virus.

di Eleonora Damasco

La crisi sanitaria che ci ha colpito ha avuto ripercussioni funeste sulla società: ha cambiato il modo di relazionarci e di condividere, ha accentuato le diseguaglianze, ha fatto crollare l’economia.

 

Ci siamo ritrovati catapultati in uno scenario degno della migliore letteratura distopica.

E dalla distopia al cyberpunk il passo è breve: un mondo futuro post-industriale e iper-tecnologico in declino, violento, dominato da grandi associazioni che hanno il potere di controllare informazioni e manipolare ambiente e corpo umano. L’uomo è ossessionato dalla tecnologia e si fonde con la macchina: A.I., cyborg, forze dell’ordine robotizzate…

Come sarà il nostro futuro? Sarà quello preconizzato negli anni’80 da Gibson &Co? Oppure saremo resilienti?

 

Dato non certo, ma deducibile da pregresse esperienze, è che questa crisi abbia creato circostanze favorevoli per l’utilizzo del pensiero divergente e lo sviluppo della creatività.

Ed ecco che, nello scenario di pura ambientazione cyberpunk del padiglione Italia, le arti si fondono a crearne contenuti, ambientazione e abitanti, rendendo ben evidente la stretta correlazione tra atto creativo e transdisciplinarità. Tutte le arti, anche quelle che nello schema più classico vengono identificate come minori.

 

Ma vorrei soffermarmi sulle “strane e affascinanti creature” che abitano questo spazio, in quanto il mio contributo è stato quello di creare un abito per una di loro.  Quest’ abitante, particolarmente sensibile al tema dell’inclusività, ha preso la decisione di esplicare i contenuti del padiglione in LIS: inclusività e giustizia sociale sono tematiche particolarmente sentite in questo cyberspazio.

Tornando all’atto creativo, quanto è in grado di comunicare un costume?

Già la duplice designazione “usi e costumi” è indicativa, e la dice lunga sulla sua capacità di veicolare varie informazioni, contribuendo in modo decisivo alla caratterizzazione dei personaggi.

La cultura della nostra società è dunque fondamentale in questo processo, e in particolare l’immaginario collettivo.

Punto di partenza il cinema cyberpunk, con il super-cult Blade Runner di Ridley Scott, già grande protagonista in questo spazio con la post-umana Rachel. Piccola digressione ma del tutto attinente: come l’arte aiuta un costumista a ricreare la moda di un dato periodo storico, l’arte ha aiutato Ridley Scott a ricreare l’ambientazione. Ha infatti specificato di aver girato il film portando sempre con sé un copia di Nighthawks di Hopper, perché tutto il team avesse ben chiaro che tipo di ambientazione volesse ricreare. Hopper e la solitudine del suo tempo, che è anche il nostro.

Anche l’ampia produzione cinematografica distopica ha avuto il suo ruolo, soprattutto la recentissima serie televisiva The Handmaid’s tale, tratta dall’omonimo libro di Margaret Atwood (1985). La società rappresentata è fortemente patriarcale, con l’autorità assoluta dell’uomo sulla donna. Le donne sono private di qualsiasi diritto civile e sociale e relegate a mero organo riproduttore, in una società dove il tasso di fertilità è stato quasi azzerato, anche a causa dell’inquinamento climatico.

La mia incursione nell’ immaginario collettivo e nella cultura della nostra società non è certo finita qui.

Cinema e costume vanno di pari passo, ma che dire del connubio tra moda, arte e architettura?

Alcune collaborazioni sono passate alla storia, come quella Dalì/Schiapparelli. Altro esempio calzante è Mondrian e il suo De Stijl: ispirò Rietveld per la Schroeder House ma anche la collezione di Yves Saint Laurent del 1965.

Il mio focus è stato sul Manifesto della moda femminile futurista (Vincenzo Fani,1920): tralasciando la biasimevole esaltazione bellica, quest’avanguardia guardava al futuro inneggiando a dinamismo, velocità, progresso, tecnologia. Nell’obbiettivo di capovolgere i canoni della società, anche l’abbigliamento aveva un ruolo determinante: nascono nuovi tagli dalle linee squadrate e viene proposto l’impiego di nuove materie rivoluzionarie, perfettamente coerente con la situazione di crisi post-bellica e difficile reperibilità dei materiali.

Ma arriviamo agli anni’60. Storia e moda. In questa decade caratterizzata da grandi contestazioni, decisiva per il cambiamento di costumi della nostra società, si colloca un evento memorabile: lo sbarco sulla Luna, il 20 luglio 1969.  Tute e caschi spaziali entrano a far parte dell’immaginario collettivo e la fantascienza ha il suo periodo d’oro, influenzando anche gli stilisti, che immaginano la donna del futuro. Courreges, Cardin e Rabanne sono i tre grandi esponenti della moda futuristica: linee geometriche, massiccio uso di plastica (non riciclata, all’epoca la questione ambientale non era particolarmente sentita), vestiti armatura. Sguardo al futuro prettamente positivo e non catastrofistico.

Tornando alla transdisciplinarità: Courreges nasce come ingegnere civile nonché pilota di aerei nella seconda guerra mondiale. E tutti gli elementi sopracitati sono entrati in gioco per la creazione di un solo abito.

Questo spazio è lo spazio delle possibilità, e diventa, più o meno esplicitamente, un omaggio alla ricerca, che affonda le sue radici nella storia e nel tempo. Quali soluzioni verranno fuori, grazie all’insight di gestaltiana memoria, per costruire delle comunità resilienti?


Immagine di copertina tratta dal film Blade Runner.
Foto di Eleonora Damasco con l’interprete LIS, Maria Paola Casula.