Il 2020 è stato l’anno che ha definito una nuova normalità. È stato un anno in cui le società in tutto il mondo hanno dovuto affrontare una moltitudine di sfide che spaziano dalle questioni sociali (rivolte e proteste di massa), ambientali (alluvioni, incendi e uragani) ed economiche, alcune delle quali originate a causa dei lockdown che hanno colpito le città, interferendo nelle filiere di approvigionamento e così via.
di J. Antonio Lara-Hernandez.
È molto probabile che negli anni a venire, simili sfide saranno maggiormente diversificate, impattando in maniera prominente sulle nostre città e società. Per citare un esempio, il fenomeno della migrazione. Ad oggi più di 240 milioni di persone in tutto il mondo sono emigrati internazionali e questo numero è destinato a crescere a causa del cambiamento climatico e di altre potenziali pandemie.
Possiamo prevederlo con ragionevole sicurezza in funzione del recente aumento della frequenza delle maggiori pandemie (quali la SARS e l’Ebola) e a causa dei cambiamenti sociali e ambientali condotti dal genere umano che potrebbero aver contribuito all’emergenza Covid-19. In più, un fenomeno di migrazione di tale portata, condurrà alla formazione di insediamenti informali. Attualmente, il numero assoluto di persone che vivono in slums o insediamenti informali ha superato il miliardo, di cui l’80% attribuibile a tre regioni: l’Est e il Sud-Est asiatico (370 milioni), l’Africa sub-sahariana (238 milioni) e l’Asia centrale e meridionale (227 milioni). Circa 3 miliardi di persone necessiteranno di abitazioni adeguate e accessibili entro il 2030. In aggiunta, a causa della crescita della popolazione, avremo bisogno di più risorse, incappando in un’equazione impossibile, un paradosso urbano che prevede proiezioni irrealizzabili da mantenere sulla lunga distanza.
Sappiamo che una delle cause che conducono ad una simile situazione risiede nel modo di fare architettura, il modo in cui progettiamo e costruiamo le nostre città.
Uno degli elementi chiave che potenzia lo sviluppo del genere umano è la creatività che secondo l’Oxford Dictionary è definita come l’abilità o il potere di creare. A partire dall’invenzione della ruota fino agli oggetti computerizzati avanzati e alle astronavi che incoraggiano l’esplorazione dello spazio.
La creatività è una caratteristica profondamente apprezzata in molti ambiti quali la scienza e la politica, ma è comunemente associata alle arti, alla progettazione e all’ingegneria. L’architettura implica tutto questo. La creatività deriva dal pensiero associativo che rende possibile la riflessione da una nuova prospettiva, prendendo in cosiderazione informazioni non necessariamente collegate alla situazione in oggetto. Questa utilizza il ragionamento a partire dal significato di modelli, precedenti, schemi visuali, diagrammi, analogie e metafore.
Noi, come genere umano, siamo immersi nel vasto sistema socio-ecologico del nostro pianeta. In questo senso, l’azione umana è analoga a quella di altri attori presenti nell’ecosistema. L’unica differenza sono gli strumenti che il genere umano è solito utilizzare. Tra questi, la specificità dell’umanità risiede nell’uso della creatività come manifestazione del pensiero associativo. Questo contribuisce notevolmente in architettura in generale e, nella fattispecie, alla progettazione creativa.
Secondo Gould e Vrba (1982), il termine exaptation indica la possibilità che in natura, le relazioni tra gli organi e le loro funzioni siano potenzialmente ridondanti, consentendo così che un tratto sviluppato per una determinata ragione adattiva possa essere ‘cooptato’ o convertito ad una funzione anche totalmente indipendente da quella precedente. Il concetto di exaptation è quindi un caso studio dell’evoluzione particolarmente interessante, poichè evoca le relazioni tra strutture e funzioni, tra ottimizzazione ed imperfezione in natura, mettendo in discussione la visione ‘adattativa’ che ha prevalso a lungo durante tutto il XX secolo.
Tattersall propone l’exaptation come meccanismo da cui deriva il comportamento umano moderno: le attuali abilità fisiche del sapiens sembra che abbiano la loro origine in concomitanza con l’emergere dell’anatomia umana moderna, circa 200.000 – 150.000 anni fa. Queste caratteristiche anatomiche sono rimaste nascoste finchè qualche altro meccanismo non le ha attivate; tra i possibili esempi potrebbero asserci gli stimoli culturali (quali maggior fattore incidente) che hanno potenziato lo sviluppo del pensiero simbolico e astrattivo. Pertanto, nuovi modelli comportamentali e cognitivi dell’umanità moderna sembrano aver avuto origine come exaptation.
Seguendo questa analogia, ipotizziamo che la progettazione architettonica, che attribuisce una funzione alla struttura progettata, equivalga all’adattamento. Quindi, qual è la modalità di progettazione architettonica assimilabile all’exaptation? Gould (1982) dichiara che l’exaptation presupponga una forma di adattamento-non adattamento perchè si verifica a seguito di una cooptazione funzionale. Pertanto se esiste una modalità di progetto-non progetto equivalente all’adattamento, come può l’exaptation architettonica contribuire all’evoluzione delle città e degli edifici?
Le forme di simbiosi tettonica tra la geomorfologia e la progettazione e dunque la cooptazione funzionale di forme ridondanti, nasce per altre funzioni o per nessuna funzione, riscuotendo successo nel corso di ogni epoca storica e ogni luogo geografico sulla Terra. Cronologicamente possiamo dedurre da esempi precedenti che esista una prevalenza del formale sull’informale.
Esistono una quasi infinità di esempi di architetture in cui è difficile, se non impossibile, distinguere la realizzazione di una forma per un dato uso o l’attribuzione di un uso ad una forma preesistente, non progettata. Ritornando brevemenre alla logica della biologia dell’evoluzione, la risposta risiede nel superamento della logica lineare causa-effetto, in favore del pensiero associativo, attraverso il quale il cervello costruisce relazioni in cui le costrizioni ambientali spingono verso la creatività e contemporaneamente il prodotto della creatività genera nuovi vincoli ambientali.
Molte delle architetture in cui viviamo non sono il risultato di un processo progettuale deterministico. La sottostima del processo non deterministico di trasformazione dell’architettura e di cooptazione delle sue parti è il risultato di un pregiudizio. Ancora una volta, il pregiudizio può essere spiegato e dimostrato grazie a studi transdisciplinari. Il più grande vanto attribuito alla progettazione deterministica corrisponde all’idea che questo sia il risultato della creatività quale espressione di intelligenza umana avanzata. In ogni caso, gli studi citati da Pringle (2013) dimostrano il contrario, ovvero come la creatività derivi dall’indeterminismo del pensiero associativo, una modalità di sopravvivenza predefinita in opposizione al pensiero lineare. Conseguentemente in natura, tutti I sistemi creativi sono non deterministici, nel senso che forniscono una ridondanza di forme e relazioni senza che abbiano un uso specifico. Una tale indeterminatezza è propio alla base della resilienza adattiva delle strutture creative come il DNA, il cervello umano e anche gli “spandrels” i pennacchi come il sesto dito del panda, le piume del dinosauro e la loro manifestazione come le raffigurazioni primitive (Melis, Pievani 2020).
L’informalità come il lavoro di professionisti contemporanei quali Urban Think Tank, Teddy Cruz, Giancarlo Mazzanti e Alejandro Aravena / Elemental, e precedentemente le architetture come processi, come espresso dai movimenti radicali quali i Metabilist giapponesi e i Radicali austriaci, sono stati sottovalutati in qualità di possibili rappresentazioni dell’exaptation architettonica. Questo preconcetto può essere stato formulato a causa della preoccupazione degli architetti che considerano l’indeterminismo come un non-progetto, mettendo in discussione l’esistenza dell’architetto in sè. In realtà l’exaptation architettonica è piuttosto, un progetto che pone come priorità la ridondanza delle forme e il genotipo in relazione a funzioni preassegnate e fenotipi.
Il pensiero associativo, la creatività e la progettazione non deterministica possono aiutarci ad essere meglio preparati per affrontare le crisi future e gli eventi catastrofici.