FLOW TIME è un esperimento visuale e una performance visuale di Diego Repetto, Marco Brianza, Flavio Ferri, Davide Mazzocco, Fabrizio Rossetti e Fabrizio Aimar, con il patrocinio del Museum of Contemporary Cuts e Associazione Museo Nazionale del Cinema

Viviamo nel flusso.

 

Da quando gli orologi sono entrati nelle nostre vite, abbiamo smesso di assecondare il tempo naturale, quello dei ritmi circadiani e dell’incessante alternanza del giorno e della notte. Abbiamo imparato a conteggiare il tempo, non più con la sabbia discendente in un cono di vetro o con l’ombra che si muove su un muro. Per conteggiarlo abbiamo costruito oggetti meccanici e questi strumenti hanno meccanizzato le nostre vite, le hanno disciplinate: mangiamo e dormiamo quando i nostri orologi o i nostri dispositivi elettronici ci dicono di dormire.

 

Nel flusso qualcuno si nutre del nostro tempo. Jean-Paul Galibert ha dato un nome a questa invisibile captazione del nostro tempo di vita: cronofagia. Crediamo di offrire il nostro tempo solamente in cambio di una remunerazione, nel tempo iperdisciplinato della nostra professione, ma è un’illusione. Nel flusso che nutre il sistema capitalistico sta anche il tempo libero, quello nel quale cerchiamo una sorta di compensazione per il tempo speso lavorando.

 

Mezzo secolo fa, nel suo imprescindibile La società dello spettacolo, Guy Debord aveva già intuito come le persone acquistassero surgelati per guadagnare il tempo necessario a trascorrere… più tempo davanti al televisore!

 

La pandemia ha portato all’eccesso il nostro rapporto con le piattaforme digitali che hanno sostituito i televisori come catalizzatori della nostra attenzione e “macchine della cronofagia”. Ma le molte ore passate davanti agli schermi hanno messo a nudo la pervasività dei social network, creando un senso di rigetto, una voglia di uscire dal flusso. Il Covid-19 ci ha imposto un rallentamento forzato e questa contingenza ci ha fatto comprendere quanto le nostre esistenze vengano accelerate all’inverosimile dalla religione globale della tecnica.

 

Il paradosso della tecnica è quello di offrire soluzioni ai problemi che essa stessa crea. Quella stessa tecnica che si propone come il filo di Arianna per uscire dai labirinti della burocrazia e come la chiave d’accesso a tutta la conoscenza del mondo, ci trasforma in lavoratori inconsapevoli, agenti di viaggio, commercialisti, bigliettai e cassieri di noi stessi oppure ci imprigiona in ambienti digitali saturi di informazioni che sfamano le nostre menti, senza dar loro nutrimento.

 

Ma, nel flusso, la cronofagia non si limita a trasformarci in dilettanti delle altrui professioni: filtrata da uno schermo, la rappresentazione della nostra vita a beneficio di un pubblico più o meno vasto e attento, occupa una parte sempre più consistente delle nostre giornate. Velocità, produttività, dinamismo e competenza sono le qualità che mostriamo sulle bacheche dei nostri account social. Nelle interazioni sociali mediate dalle tecnologie, la rapidità (nell’intervenire sulle urgenze del momento, nel rispondere in maniera arguta a un commento o a un messaggio privato) è il valore dominante.

 

Ma cosa accade quando gli esseri umani provano ad adattarsi a tecnologie che accelerano i ritmi della vita a livelli insostenibili? Quali nevrosi e patologie vengono generate da questa asincronia fra tempo biologico e tempo tecnologico? Quale prezzo si paga per il nostro ruolo di prosumer?

 

Siamo nel pieno di un processo di adattamento a strumenti che mirano ad annichilire i tempi morti e a reificare e monetizzare ogni aspetto dell’esistenza. In molte parti del mondo, però, le coscienze si risvegliano. La percezione del tempo come risorsa scarsa e le logiche estrattive del sistema capitalistico sono sempre più evidenti.

 

Si tengono convegni sull’utilizzo del tempo, la pianificazione urbana viene rimodulata su criteri di prossimità capaci di rendere anacronistici i mezzi motorizzati privati, si riscopre il piacere della lentezza. Ci sono gli scettici, i reazionari, i miopi, ma anche nuove visioni sociali, culturali e urbanistiche che tengono conto del tempo che scorre.

 

Nel flusso si generano anticorpi per far fronte a una delle malattie del secolo, quella della fretta. La cronofagia si vede, è il momento di costruirsi oasi di tempo sottratto alla mercificazione, di politicizzare l’uso che si fa delle proprie ventiquattro ore e, soprattutto, di agire in direzione contraria al flusso mercificante del capitale.

 

Testo di Davide Mazzocco