Marco Ermentini | SHY ARCHITECTURE | Italia-Crema
di Valentina Radi
Timidezza porta il significato corrente di persona “incline a impressionarsi o impaurirsi. Oppressa da un senso di timore o pudore, o soggezione, o denotante esitazione e impaccio, oppure mancanza di decisione o convinzione”[1] eppure l’umanità diventa umana quando scopre la timidezza che non è una malattia ma un modo più cauto e intelligente di rapportarsi con il mondo.
Consapevoli del valore della timidezza per l’individuo anche l’architettura se ne appropria con la nascita della SHY ARCHITECTURE ASSOCIATION a Brera nel 2000, che propone una piccola comunità di trasformazione timida e appassionata del mondo. È giunto il tempo di smettere di comportarci in modo violento distribuendo schiaffi e di cambiare atteggiamento imparando a usare il segreto della carezza che ha il prezioso dono di far risvegliare le cose. Così, al contrario del comportamento smodato dell’architettura contemporanea, l’architettura timida è la dolce alleanza tra memoria e futuro. Oggi per la prima volta non è richiesto di assecondare un mondo in espansione ma di operare sul costruito, sull’esistente rinnovando la nostra concezione del restauro. Serve un nuovo contratto che fissi una modalità più timida più delicata in rapporto con la natura come un vero soggetto di diritto. La vera ricchezza del timido è di saper intervenire con poco, del quale non vi è mai penuria, utilizzando la conoscenza, la conservazione dell’esistente e la stratificazione con cautela, attenzione e umiltà. Virtù antiquate e dimenticate. L’architettura deve riprendere la sua funzione di medicinale, di balsamo che cura i lembi e le ferite dei nostri edifici e dei nostri luoghi, una cura come tecnica del rammendo per guarire le ferite dell’esserci. Rianimare la presenza, ridare la vita, respiro, pensiero a ciò che è spento, immobile e chiuso trattenendone insieme la bellezza e il ricordo. Il pensiero timido ci invita a una nostalgia del futuro, che prende radice nell’amore per ciò che esiste e poggia sulla terra.
Il movimento internazionale per l’architettura timida ha al suo attivo da vent’anni azioni provocatorie, come l’invenzione del miracoloso farmaco Timidina, azioni ironiche, la patente a punti per il restauro, azioni beffarde, la Citroburocratina e meravigliosamente sconclusionate. Dal manifestino rosso dell’architettura timida a mostre, articoli, libri, farmaci, convegni e realizzazioni in Italia e all’estero. La malattia del pensiero timido si è diffusa creando una piccola comunità resiliente, una sacca per resistere alla crudeltà del mondo.
Questo movimento ha generato fra i suoi risultati rilevanti, un nuovo approccio al restauro dell’architettura e un’enciclopedia del dubbio. Proprio in riferimento al RESTAURO TIMIDO Anna Lucia Maramotti Politi afferma che affinché l’opera perduri all’orizzonte del tempo, il suo perdurare dovrà essere “testimonianza dell’esperienza, l’intervento su quell’opera non può che essere “timido”. La consapevolezza dell’irreversibilità del tempo comporta accantonare la tracotanza di chi, se pure convinto di restituire alla fruizione l’arte del passato, non si rende conto che le tracce, così cariche di allusioni e di metafore, così cariche di vissuto e testimonianza, sono esse stesse “opere d’arte” forse involontarie, ma sempre tali in quanto segni sempre e comunque dell’individualità irripetibile dell’uomo. Non si può certo dimenticare che le opere “sono”, che sono segni di…, e che si rivolgono a….L’intervento “timido”, attento a non disperdere i segni della memoria, permette di mantenerli nell’ambito della presenza, quell’ambito in cui non vi è mera successione, ma “durata”.”[2]
L’ARCHITETTURA TIMIDA inoltre ci invita a un’avventura: l’avventura della non violenza verso il mondo, questo è quanto ci sottolineano anche la lettura dei significati di alcune parole tratte da l’enciclopedia del dubbio, dalla quale riportiamo gli esempi emblematici di inizio e fine, prima e ultima parola.
ALBERI: La gentile signora Cristina mi minaccia ogni volta: “caro architetto, non è giunta l’ora di tagliare il suo albero? Guardi, è storto, fa un’ombra eccessiva e poi d’autunno tutte quelle foglie! Di notte mi sveglio e ho paura che, se viene un temporale, l’albero mi casca in testa e rovina la mia villetta! Si decida, lo tagli una volta per tutte se no le mando una raccomandata dal mio avvocato!”. Non c’è niente da fare, in Italia tutti odiano gli alberi. È un vecchio discorso che si trascina dai tempi dei Romani. Ho riflettuto e la conclusione è questa; l’odio è derivato dal fatto che l’albero non rende e provoca un sacco di problemi. A tagliarlo, viceversa, l’albero rende subito: lo vendono o lo bruciano. E lascia libero il terreno, naturalmente. Ma la verità più profonda è un’altra: l’albero fa rabbia perché sta li e non lavora!
- Perché di fronte ad un monumento ci comportiamo come fa James Bond? Il doppio zero autorizza la licenza di uccidere un manufatto? Perché non abbiamo alcuna pietà per le cose? Perché non siamo più capaci di lasciare in pace i nostri monumenti? Forse non abbiamo pensato abbastanza. Forse dovremmo chiedere permesso quando entriamo in relazione con un edificio, quando modifichiamo, trasformiamo, manipoliamo, una cosa del passato che ci è data in uso e che è bene custodire e coltivare. Forse ha ragione Anna Maramotti: la conservazione è un problema forte in campo filosofico. Essa si oppone all’annullamento dell’esistente, della memoria dell’uomo che si è coagulata sul prodotto del suo fare, sull’oggetto. Così cerchiamo di imparare la lezione da Etalide, il figlio di Ermes che possedeva una memoria incorrotta di tutte le cose. Forse è giunto il momento di chiederci se il nostro rapporto con il mondo debba essere affrontato continuando praticarla violenza di uno schiaffo oppure con la stessa delicatezza di una carezza?[3]
Il tempo pandemico e la grave crisi climatica ci hanno dato la prova generale che dovremo imparare a vivere una vita molto più fragile e sperimentare una vera rivoluzione filosofica che si deve estendere al nostro modo di abitare: beati i timidi perché abitano la terra in modo delicato. Alla timidezza però dovremo unire anche la gentilezza che richiama, al contempo, l’intima individualità dell’uomo e, da gens[4] nell’antica Roma, il legame familiare di assistenza e difesa. Un valore sociale, un incontro tra scienza e coscienza, una complementare commistione di biologia di valori che si trasferiscono geneticamente e rafforzano l’uso della timidezza.
Nome progetto | SHY ARCHITECTURE
Progettisti | arch. Marco Ermentini – MARCO ERMENTINI ARCHITETTI
Località | Crema
Committente | Privato
Anno | 2000
[1] Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli, Il dizionario della lingua italiana, Le Monier, Firenze, 1995, pag. 2031
[2] Marco Ermentini, Restauro timido. Architettura affetto gioco, Nardini Editore, Firenze, 2007, pag. 47
[3] Marco Ermentini, Architettura timida. Piccola enciclopedia del dubbio, Nardini Editore, Firenze, 2010, pagg. 11-85
[4] Immacolata De Vivo e Daniel Lumera, Biologia della Gentilezza, Mondadori, Milano, 2020, pag. 24

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